domenica 25 marzo 2018

Se Questo È un Homunculus

Nel nostro romanzo (Spinoza Rosso Sangue) una figura ricorrente è quella dell'homunculus, o meglio, della muliercula. Si tratta di un termine (in quest'accezione) che abbiamo dovuto inventare, dato che la tradizione alchemica riguardante la creazione di un essere umano artificiale ha sempre dato per scontato, pensa un po', che detta creatura dovesse avere un'identità maschile.
Prima di approfondire un po' la questione, come già promesso, inquadriamo storicamente il soggetto, leggendo questo interessantissimo articolo, preceduto naturalmente da un mio disegno di tematica attinente (con tanto di particolare ingrandito).

Ne riparleremo.

Atanor, Drawing, Disegno
L'Uovo Alchemico, 1994


Atanor, Disegno
L'Uovo Alchemico - Particolare
Antiche Definizioni dello Stato di Persona – L'Homunculus, il Golem e Aristotele
traduzione di Domenico D'Amico
[le note con numeri arabi sono nel testo originale, quelle con lettere minuscole del traduttore]

Prima di decidere sulla moderna definizione, e ulteriore elaborazione dello stato di persona per quel che riguarda l'extra umano, sarà utile esaminare come lo stato di persona sia stato definito nel corso della storia – in particolare per quel che riguarda i numerosi casi di androidi dell'antichità, poiché essi hanno presentato a suo tempo l'argomento migliore a sostegno di individui che avrebbero potuto, secondo i canoni del periodo, essere riconosciuti come pienamente umani.
In questa esposizione si discuteranno gli argomenti legali e filosofici di base utilizzati per definire lo status di due tipi di androide artificiale, l'homunculus e il golem, nel corso del Medioevo e del Rinascimento, periodi in cui la loro creazione era ritenuta concretamente possibile, o addirittura concretamente realizzata.
Si mostrerà anche come la definizione storica dello stato di persona abbia per lo più coinciso con le idee di Aristotele, idee che egli sviluppa principalmente allo scopo di determinare chi sia legittimamente soggetto alla riduzione in schiavitù [who is worth of slavery]. Questi punti di vista storici sullo stato di persona sono importanti perché mostrano le pregresse difficoltà sociali che comporta ogni odierna ridefinizione dello stato di persona riguardo l'extra umano.
L'idea dell'homunculus precede il Rinascimento, anche se raggiunge il suo massimo sviluppo in questo periodo. Lo storico della scienza William Newman ha dimostrato che l'idea di produrre un essere umano artificiale risale almeno al primo Medioevo, forse perfino alla tarda antichità, e che le basi di quest'idea hanno la loro origine in Aristotele [1]. Sebbene egli stesso non credesse nella possibilità di creare esseri umani artificiali, le sue teorie sulla riproduzione umana e sulla generazione spontanea spinsero i suoi epigoni a ritenerla fattibile. L'idea che Aristotele aveva della riproduzione attribuiva la formazione della vita al seme maschile, assegnando al sangue mestruale il ruolo secondario di sostanza nutritiva.
Per questo motivo, dato che il ruolo della donna era essenzialmente quello di fornire un contenitore per la gestazione del feto, scienziati e pensatori dei periodi tardo-classico, medievale e rinascimentale, poterono desumere che, avendo a disposizione lo sperma maschile, analoghe sostanze nutrienti, analogo calore e analogo recipiente, fosse possibile una riproduzione umana asessuata.
Le primissime descrizioni della creazione di un essere umano artificiale si possono leggere in due opere che, rispettivamente, risalgono probabilmente al tardo periodo classico e al primo Medioevo. La prima è la storia di Salaman e Absal, che ha la sua origine tra gli arabi del Medio Oriente. Ne fa menzione Avicenna, il grande medico e filosofo persiano del X Secolo, ma, come sostiene Newman, di questo racconto esiste una diversa, e probabilmente più antica versione, che risale almeno al III o IV Secolo a. C.
C'è un'altra opera molto antica, un libro di magia intitolato Il Libro della Vacca (Liber Vaccae), che illustra la primissima ricetta pratica per la creazione di un homunculus. Lo studioso persiano Jabir ibn Hayyan ha lasciato delle note al riguardo, e visto che la maggior parte delle opere attribuitegli spazia tra l'800 e il 900 a.C., il Libro della Vacca dovrebbe appartenere a un periodo precedente, cioè alla tarda Età Classica o al primo Medioevo. Quest'opera capostipite, a lungo attribuita a Platone, sopravvive solo in un raro manoscritto latino, il Codice Paneth, esso stesso una traduzione dall'arabo [a]. Essa fornisce la ricetta per la creazione di un uomo artificiale mediante la miscelazione di sperma umano e una pietra fosforescente, la collocazione della mistura nell'utero di una vacca (o pecora), e la nutrizione con sangue del piccolo umano che ne risulta [b].
È importante sottolineare che la prima formula a noi nota riguardante un essere umano artificiale è esplicitamente indirizzata alla creazione di un servo umano, dotato in aggiunta di poteri straordinari, addirittura miracolosi. Lo scopo del processo di creazione è produrre un umanoide che “se cresciuto e nutrito per un anno intero, e tenuto nel latte e nell'acqua piovana, esso darà notizia di tutte le cose ed eventi distanti [omnia absencia]”. Inoltre, esso avrà il potere di influenzare “il ciclo lunare, o di mutare un uomo in una vacca o in una pecora”, oppure lo si può sventrare vivo, in modo che i suoi fluidi corporei, applicati ai piedi del suo creatore, gli permettano di camminare sulle acque [2]. Da notare, qui, il tono indifferente, quasi trascurato con cui si parla di vivisezionare un essere umano allo scopo di imbrattarsi i piedi con i suoi fluidi organici. C'è un evidente collegamento con la sua condizione di subumano e schiavo. Su questo, torneremo più avanti.
Durante il Rinascimento, l'idea di homunculus divenne per lo più associata a Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, meglio noto come Parcelso, che fornì la descrizione maggiormente dettagliata di questa creatura e di come generarla. In De Natura Rerum, Paracelso descrive in maniera molto precisa come creare un homunculus, omaggiando il lettore di una vera e propria ricetta:

Se la fonte di vita [il seme maschile - ndt], chiusa in un'ampolla di vetro sigillata ermeticamente, viene seppellita per quaranta giorni nel ventre equino [letame di cavallo] [3] e opportunamente magnetizzata comincia a muoversi e a prendere vita. Dopo il tempo prescritto assume forma e somiglianza di essere umano, ma sarà trasparente e senza corpo fisico. Nutrito artificialmente con arcanum sanguinis hominis per quaranta settimane e mantenuto a temperatura costante prenderà l'aspetto di un bambino umano. Chiameremo un tale essere Homunculus, e può essere istruito ed allevato come ogni altro bambino fino all'età adulta, quando otterrà giudizio ed intelletto. (1:24)

Chiaramente, la ricetta di Paracelso fonde insieme gli elementi aristotelici della riproduzione e della generazione spontanea discussi più sopra. Ma, rispetto al modello originale aristotelico, gli elementi riguardanti la riproduzione conoscono una riduzione, visto che ogni contributo da parte della donna viene quasi del tutto espunto. Come abbiamo visto, la teoria di Aristotele richiede che il corpo femminile fornisca non solo un ambiente caldo e protetto, ma anche un contributo materiale per la formazione del bambino. È questo che dona al bambino umano le qualità di entrambi i genitori.
Tuttavia, dato che Paracelso focalizza primariamente la sua attenzione sul processo di putrefazione delle sostanze (o alla loro “digestione”, come la definisce in un altro passaggio), si può vedere come per lui la questione principale sia il controllo di un processo molto simile alla generazione spontanea. È importante ricordare che questo fenomeno, chiamato anche abiogenesi, era il processo mediante il quale (così si credeva nell'antichità) creature inferiori come gli insetti venivano generati spontaneamente dalla materia organica in decomposizione. Il fatto che l'homunculus si ricolleghi a questo processo implica il suo stato di inferiorità rispetto al proprio creatore.
All'incirca nel medesimo periodo, e nel medesimo contesto culturale di Paracelso, anche Cornelius Agrippa von Nettesheim (1486-1535) fa menzione della creazione di un homunculus. Come Paracelso, Agrippa praticava la medicina, credeva nella scoperta attraverso la sperimentazione, e aveva avuto molti dissidi con le autorità, per quanto i suoi riguardassero la Chiesa, piuttosto che l'establishment medico.
Nel suo De Occulta Philosophia (Tre Libri di Filosofia Occulta) discute di come la generazione spontanea di esseri viventi si possa rendere possibile utilizzando la giusta miscela di elementi naturali, purché sotto la giusta influenza astrologica. Tra le varie creature prodotte con questo sistema, quali le rane generate usando anatre disseccate e polverizzate mescolate con acqua, Agrippa cita l'homunculus. Di nuovo, l'uomo artificiale viene associato agli animali – e gli animali, a loro volta, vengono visti come oggetti. Si possono essiccare e polverizzare, come fossero materiali inerti, per venire rigenerati successivamente con l'aggiunta di acqua.

L'Homunculus Come Servo Artificiale

Un importante collegamento tra le trattazioni dei due autori è l'uso che fanno del termine “naturale” per descrivere un oggetto vivente umanoide non nato da genitori umani. Paracelso dichiara, parlando dell'homunculus, che “tali creature i filosofi le chiamano naturali”. Anche Agrippa parla dei “naturali” nella De Occulta Philosophia, e la sua trattazione, molto più dettagliata, è rivelatrice. Trattando della matematica e delle “molte magnifiche opere realizzabili solo tramite le arti matematiche”, egli afferma:
...e perciò mercé le sole scienze matematiche è dato produrre, senza intromissione di alcun potere naturale, operazioni simili a quelle naturali, poiché, come dice Platone, sono cose che non partecipano né della verità né della divinità, ma sono rassomiglianze concatenate l'una all'altra, come corpi che camminano e parlano senza esser dotati di potere animale, a similitudine degli idoli di Dedalo, chiamati automa, automata, di cui fa cenno Aristotele... (Libro II, capitolo I)

Questo passaggio chiarisce una serie di cose: primo, Agrippa considera i naturali “rassomiglianti” agli automata. Secondo, il contesto in cui Aristotele fa cenno agli idoli e automata di Dedalo, nella sua Politica, riguarda l'idea di uno schiavo più adatto [alla sua funzione] (1253b25-1254a1); di conseguenza, è implicito che Agrippa pensa agli homunculi, così come ad altri naturali o automata, anche come schiavi. E in effetti, proprio come Aristotele, che giustifica la schiavitù anche sostenendo che i non greci non siano del tutto umani, e quindi possano essere considerati, come succede coi muli, “schiavi per natura”, Agrippa considera tutti i naturali come qualcosa di meno che umano.
Quello che Agrippa intende, quando definisce i “naturali” (come l'homunculus) come cose “che non partecipano né della verità né della divinità, ma sono rassomiglianze concatenate l'una all'altra”, è che essi sono privi di anima. In altri termini, un “naturale” è un oggetto umanoide che ha l'apparenza di un essere vivente ma non è davvero umano, essendo il prodotto di elementi naturali, ma privo della componente divina che caratterizza gli umani.
Perciò, oltre a indicare che Agrippa e Paracelso trattano del medesimo tipo di simulacro umano, il termine “naturale” ci fa anche comprendere la posizione di inferiorità che tali creature occupano, rispetto agli umani, nell'ordine cosmico.
Data la posizione di inferiorità dell'homunculus, si può capire il motivo implicito per cui Paracelso, nel passaggio dal De Vita Longa citato più sopra, ne parla come qualcosa da “utilizzare”. Perché gli homunculi, a dispetto della loro condizione subumana, sono in possesso di doti supernormali, come la capacità quasi medianica di conoscere “cose segrete e nascoste”, o una “grande e potente” semibestiale forza fisica (De Natura Rerum, 1:124). E il fatto che siano assimilabili a una macchina fornisce una giustificazione per il loro uso alla stregua di schiavi. Gli animali e gli automata non hanno l'anima: l'inclusione degli homunculi e dei popoli barbari nella medesima categoria di animali e automata, rende eticamente accettabile il loro utilizzo come servi.
Quest'etica di convenienza è implicita non solo nell'accostamento che fa Agrippa tra naturali e macchine (che anticipa le idee estreme di Cartesio, che all'inizio del XVIII Secolo vedeva gli esseri viventi come “macchine organiche”, con l'eccezione degli esseri umani, in quanto dotati di anima), ma anche nel modo in cui Paracelso, nel suo Liber de Nymphis, si riferisce ad essi [i naturali] chiamandoli “bestie” o “cose” (capp. 230 e 216).
Non è una coincidenza che le affermazioni da parte di Paracelso che i “naturali”, ad onta dei loro poteri, fossero inferiori agli umani, e che tale inferiorità fosse sostanziata da una insufficienza di intelligenza e razionalità, suonino molto simili a quelle fatte all'epoca dai propugnatori della schiavizzazione degli indiani d'America.
Come sottolinea Anthony Padgen nel suo The Fall of Natural Man, Paracelso rientra nel novero dei pensatori del suo tempo che accozzavano gli indiani americani con ninfe, satiri, giganti e pigmei, tutti quanti “selvaggi”. Egli aveva due ragioni per pensarlo: primo, riteneva che entrambi i gruppi si riproducessero nel medesimo modo – attraverso una forma di generazione spontanea; la seconda e più rilevante motivazione era che questi “barbari” non erano dotati di “ragione”. Sulle orme della definizione aristotelica dello “schiavo per natura”, personaggi come Juan Ginés de Sepúlveda, Gil Gregorio, Bernardo de Mesa e il teologo scozzese John Mair asserivano che i nativi del Nuovo Mondo, per via della loro essenziale incapacità di riflessione e ragionamento, erano, nonostante il loro valore guerriero, la pratica dell'agricoltura eccetera, collocabili in uno spazio tra il bestiale e l'umano; di conseguenza, era lecito ridurli in schiavitù con l'uso della forza [4].
Questa descrizione dell'homunculus, al contempo schiavo e strumento superpotente, innescò in Europa un considerevole dibattito, così come succedeva riguardo il trattamento degli indiani d'America. Alcuni studiosi europei, come il chiosatore medievale pseudo-Tommaso, sembrano concordare con l'idea che l'homunculus fosse subumano e quindi suscettibile di sfruttamento da parte del suo creatore. Altri europei dissentivano da tale formulazione. Alcuni non erano d'accordo perché ritenevano un tale trattamento immorale nei confronti di qualsiasi animale, altri perché la loro idea riguardo l'anima dell'homunculus differiva da quella dello pseudo-Tommaso.
Guglielmo d'Alvernia sosteneva la prima di queste due posizioni. Nel suo trattato De Legibus stigmatizza le pratiche descritte nel Liber Vaccae, partendo dal principio che è sbagliato creare animali artificiali, di qualsiasi genere, solo perché poi vengano uccisi per altri scopi (Opera Omnia, 34). Inoltre, nella sua opera De Universo, egli si mostra preoccupato dal fatto che la pratica di raccogliere seme umano (secondo le istruzioni per la creazione di homunculi del Liber Vaccae) ricordi troppo da vicino quello che demoni notturni come i succubi fanno allo scopo di creare stirpi mostruose (Opera Omnia, 1009A). Nei testi di altri studiosi medievali, questa ripulsa di tipo teologico è ancora più spiccata.
Come Guglielmo, essi deprecano la creazione di homunculi, ma la loro disapprovazione deriva dall'idea, molto più preoccupante, che creare un homunculus equivalga a manipolare Dio. Secondo loro, perché l'homunculus sia vivo è necessario che possegga un'anima razionale, e ciò solleva il dilemma della provenienza, divina o demoniaca, di quest'anima. Se, come ritiene Alonso Tostado, l'anima razionale ha la sua origine in Dio, di conseguenza la creazione di un homunculs è un atto maligno, perché costituisce, come racconta riguardo l'homunculus di Arnoldo di Villanova, il tentativo di costringere Dio a fornire un'anima per un essere creato dall'uomo [5]. L'altra possibilità, che quell'anima sia in pratica un demone incarnato, sarebbe altrettanto inaccettabile.

Il Golem

L'idea di creare un golem fa la sua prima comparsa in un commentario del tardo XII Secolo del Sepher Yetzirah (Libro della Creazione), un testo cabalistico, sebbene il concetto che si possano creare esseri viventi mediante rituali magici sia ben più antico. Come annota Gershom Scholem, la massima autorità sulla storia del golem nel pensiero ebraico, “L'idea che l'atto [divino] della creazione si potesse replicare per mezzo della magia o di altre arti” trae origine dalle “leggende, riportate nel Talmud, riguardanti certi rabbini famosi del III e IV Secolo” [6]. Molti altri ritengono che lo stesso Sepher Yetzirah sia anteriore al Medioevo, e i commentatori medievali dell'opera affermano che personaggi del remoto passato, quali Abramo o Geremia, abbiano realmente utilizzato la conoscenza contenuta in questo libro al fine di creare esseri viventi (165) [7].
Come per l'homunculus, l'associazione del golem con gli automata, così come la sua condizione di subumano, determinano la condizione servile di tale creatura. Giunti al XVI Secolo, infatti, il golem viene ormai descritto come un servo artificiale, piuttosto che come puro risultato di una pratica devozionale. Significativamente, la trasformazione del golem, da creazione intesa a rappresentare la sapienza e santità del suo creatore a valido schiavo, si verifica all'incirca contemporaneamente alla comparsa dell'homunculus. Un manoscritto risalente al tempo di Paracelso e Agrippa costituisce la testimonianza più antica riguardante un servo-golem; in questo documento si riferisce che Samuel il Pio “aveva creato un golem privo di parola, ma che lo accompagnò e servì nei suoi lunghi viaggi attraverso Francia e Germania” (Scholem 198-99).
Questi servitori-golem venivano di solito descritti come muti, la qual cosa era vista – similmente ai criteri aristotelici descritti più sopra – come segno della loro inferiorità rispetto agli esseri umani. Come spiega Scholem, coloro che affermavano che i golem non parlavano, facevano un ragionamento simile a quello di Aristotele:


Per molti dei cabalisti che accettavano il concetto filosofico di anima razionale, la capacità di parlare era tutt'uno con quella di ragionare. È per questo che Bahya ben Asher ([nel] 1291) riferisce di Rava [uno dei primi creatori di golem]: “Egli poté certamente dare alla sua creatura un'anima di movimento, ma non l'anima razionale da cui proviene il linguaggio”. Ciò corrisponde all'opinione dominante tra i cabbalisti, per cui in generale il linguaggio è la facoltà somma, o, per usare l'espressione di J. G. Hamann, la “madre della ragione e della rivelazione”. (Scholem 193)

A dispetto dei vistosi limiti delle capacità razionali del golem (e suo conseguente stato subumano), la leggende lo descrivono come paradossalmente potente, proprio come accade con l'homunculus. Poiché essenza e forma del golem si originano nella terra, esso “diventa il depositario di enormi forze telluriche [cioè provenienti dalla terra]” ed è capace, proprio come i “naturali” e gli automata descritti dai filosofi dell'occulto, di evocare e utilizzare questa o quella forza della natura con molta più efficacia del suo creatore umano” (Scholem 164, 195, 202). In particolare, il golem è dotato di una grande forza fisica, derivante dalla sua natura elementale – cioè proveniente dalla terra stessa.
In conclusione, queste antiche idee riguardanti persone subumane quali l'homunculus e il golem evidenziano la caparbietà con la quale restiamo attaccati alla nostra sciovinistica definizione di cosa sia “umano” e cosa sia subumano. Se desideriamo continuare ad aggrapparci alla percezione della nostra eccezionalità, come i greci dei tempi di Aristotele, e tenerci l'idea conveniente di definire quelli che non fanno parte della nostra “tribù” come subumani, in modo da poterli sfruttare per scopi poco raccomandabili, allora continueremo a fare come abbiamo fatto negli ultimi 2500 anni, cioè a ritenere sacrificabili coloro che non fanno parte della nostra cerchia, o peggio, considerarli nostri nemici. E tutto ciò non solo ci impoverirà, ma, paradossalmente, metterà in pericolo l'equilibrio del pianeta e la nostra stessa esistenza.

Note al testo
[1] Vedi Promethean Ambitions: Alchemy and the Quest to Perfect Nature, di William R. Newman (capitolo 4), cui devo molto per le informazioni riguardo l'homunculus, in particolare rispetto alle tradizioni Classica e Araba.
[2] Codex Paneth 393rb; citato e tradotto in Newman 180; ho cambiato la traduzione di omnia absencia in una più colloquiale.
[3] Sebbene venter equinus si traduca alla lettera come “utero equino”, gli alchimisti usavano l'espressione per indicare lo sterco di cavallo, caldo e in fermentazione; Paracelso usa il termine allo stesso modo, anzi spesso porta la metafora oltre, per indicare qualsiasi fonte di un moderato e costante calore (Newman 215).
[4] Per quel che riguarda il dibattito teologico sulla riduzione in schiavitù degli amerindi, vedi i capp. 2 e 3 dell'opera di Padgen. Gli argomenti ivi descritti, nel modo in cui vennero articolati, nel primo XVI Secolo, dai loro maggiori proponenti, Bartholomé de Las Casas e Juan Ginés de Sepùlveda, ebbero origine in Spagna, ma la loro influenza conobbe larga diffusione, come si può dedurre dalla partecipazione al dibattito dello scozzese John Mair. In effetti, come argomenterò nel capitolo sulla Tempesta di Shakespeare, gli argomenti di tale dibattito erano ben noti in Inghilterra fin dalla metà del XVI Secolo.
[5] Alonso Tostado, Eximium ac nunc satis laudatum opus... Venezia, 1508 (cap. 36, f. 5v).
[6] “The Idea of the Golem,” On the Kabblah and its Symbolism, trans. Ralph Manheim (New York: Schocken Books, 1965) 165.
[7] A proposito del golem, vedi anche Byron L. Sherwin, The Golem Legend: Origin and Implications e Moshe Idel, Golem: Jewish Magical and Mystical Traditions on the Artificial Anthropoid.

note del traduttore
[a] Ciò riguarda l'esemplare in possesso della Yale University Library, un codice pergamenaceo del 1300 circa che include 46 manoscritti, tra cui il Liber Vaccae (De vacca sive Liber aneguemis sive Liber anequems sive Liber anguemis sive Liber institutionum activarum Platonis), non altri esemplari (British Library, Biblioteca Apostolica Vaticana, Biblioteca Nazionale centrale di Firenze, eccetera).
[b] Per la precisione, “I materiali necessari alla creazione di un homunculus contemplano seme umano, una vacca, oppure una pecora, e sangue animale, mentre la procedura prevede l'inseminazione artificiale della vacca (o pecora), seguita da imbrattamento dei genitali col sangue di altro animale. L'animale ingravidato avrebbe infine dato alla luce a una sostanza informe, da porsi in una polvere composta da Pietra del Sole (un mistico elisir fosforescente) macinata, zolfo, magnete [forse anche perossido di manganese – ndt], tutia verde [o spodio – ndt], solfato di ferro, e la linfa di un salice bianco. Quando la sostanza informe inizia a coprirsi di pelle umana, è necessario trasferirla in un grosso vaso di vetro o contenitore di piombo, per un periodo di tre giorni. Dopo di ché bisogna nutrirla col sangue della madre, dopo averla decapitata, per un periodo di sette giorni, al termine del quale diventerà un homunculus completamente formato.” (Homunculus - The Alchemical Creation of Little People with Great Powers)

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